«Non hanno più vino» (Gv 2,3) sono le prime parole della Madonna nel vangelo di Giovanni al figlio. Il contesto è quello di una festa di nozze dove sono invitati Maria e Gesù. Una festa dove tutto va bene fino a quando manca il vino. Maria se ne accorge prima di tutti ed interviene. Lo sguardo vigile della madre, le premure di questa donna piena di fede e di carità sono per il vino. Non può mancare il vino ad una festa di nozze, come non può mancare nella vita la sorpresa dell’amicizia e dell’amore.
Dio si preoccupa del vino e fa il miracolo, trasforma l’acqua in vino, perché il vino buono della gioia non manchi mai dalla tavola della vita. È superfluo il vino, come è superfluo tutto quello che rende amabile la vita e festosa la tavola. Perché vivere è più di sopravvivere e mangiare più di masticare. Questa superfluità del «vino» che aveva aperto il vangelo a Cana ora lo chiude a Gerusalemme nell’ultima cena, quando Gesù annuncia che non berrà più del frutto della vite fino a quando lo berrà «nuovo» nel regno di Dio (Mc 14,25). Il vino della rinuncia fino alla fine dei tempi è quello della condivisione di quella cena dove Gesù ha celebrato il mistero della comunione generata dal dono della sua vita. Il vino «nuovo» che Gesù attende è quello dell’incontro con i suoi amici al suo ritorno.
Il vino nuovo ha bisogno dello iato della morte di Gesù, assenza che rivela una nuova presenza, quella dello Spirito, come quella dei profumi del tempo per il vino. Il tempo della separazione fa fermentare la verità, purifica i cuori, rafforza l’amore; come il tempo del vino nelle botti quando diventa se stesso.
È questo il vino buono della Bibbia: il dono della gioia che fa desiderare la novità del per sempre.
(C. D.)
Originariamente pubblicato sul Settimanale “La Vita” del 18/10/2020